La messa del vescovo in Ospedale per la Giornata del malato 2019

11/02/2019

La messa del vescovo in Ospedale per la Giornata del malato (11 febbraio 2019)


Fratelli e sorelle carissimi, innanzitutto grazie per questa occasione, per avermi permesso di celebrare con voi la festa della Madonna di Lourdes e la XXVII giornata del malato qui in Ospedale.

Devo dire che sono di casa, oramai, in questa struttura, non solo perché ho già avuto modo di apprezzare le capacità professionali dei medici e del personale, dal momento che dopo i 65 anni la parola d’ordine è prevenzione, ma soprattutto perché mensilmente, accompagnato dal parroco di questa parrocchia tutta speciale, don Domenico, che ringrazio, visito mensilmente alcuni ricoverati.

Il primo vocabolo che viene in mente quando pensiamo in genere all’ospedale è “sofferenza”. Qui ci sono tante persone che soffrono a causa di problemi di salute. Ma il secondo vocabolo è sicuramente “solidarietà”. Gli ammalati qui vengono accolti, curati, assistiti, accompagnati nel percorso di cure.

Allora è quanto mai opportuno leggere e meditare il brano del vangelo del Magnificat: “L’anima mia magnifica, loda il Signore”.

Non è sempre facile lodare il Signore. Non è facile quando tutto va bene, figuriamoci quando c’è qualcosa che non va come noi vorremmo. Anche Maria, nel momento in cui pronunciava il Magnificat, non era senza preoccupazioni o inquietudini o pensieri. Ma sapeva di poter contare sull’amore del Signore.

L’amore del Signore per un ammalato si esprime innanzitutto nella carità del medico e del personale di cura.

La relazione umana è infatti il primo grande gesto d’amore che incontra il malato.

Il secondo è la professionalità. La scienza. Mi pare davvero fulminante e immediata l’espressione del medico Giancarlo Restelli: “La prima carità è la scienza”.

Ecco un secondo motivo per cui anche noi diciamo forte il Magnificat: il Signore ha ispirato e incoraggiato i progressi della scienza medica.

La vita è un dono, “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”, ci ricordava papa Francesco, nel messaggio per questa giornata.

E con il dono della vita, il primo che tutti abbiamo ricevuto, riceviamo anche tutti gli sforzi e i progressi di coloro che ci hanno preceduto e che ci hanno lasciato questi frutti di amore per la vita e di amore per il malato.

Così continua Papa Francesco, nel suo messaggio: Di fronte alla cultura dello scarto e dell’indifferenza, mi preme affermare che il dono va posto come il paradigma in grado di sfidare l’individualismo.

Il donare non si identifica con l’azione del regalare perché può dirsi tale solo se è dare sé stessi, non può ridursi a mero trasferimento di una proprietà o di qualche oggetto. Si differenzia dal regalare proprio perché contiene il dono di sé e suppone il desiderio di stabilire un legame.

Ogni uomo è povero, bisognoso e indigente. Quando nasciamo, per vivere abbiamo bisogno delle cure dei nostri genitori, e così in ogni fase e tappa della vita ciascuno di noi non riuscirà mai a liberarsi totalmente dal bisogno e dall’aiuto altrui, non riuscirà mai a strappare da sé il limite dell’impotenza davanti a qualcuno o qualcosa. Anche questa è una condizione che caratterizza il nostro essere “creature”. Il leale riconoscimento di questa verità ci invita a rimanere umili e a praticare con coraggio la solidarietà, come virtù indispensabile all’esistenza.

La solidarietà che si esprime anche attraverso la carezza…”.

Ecco allora, dopo sofferenza e solidarietà, il terzo vocabolo è: “speranza”. Ogni luogo di cura mette insieme queste tre parole: sofferenza, solidarietà-carità e speranza.

Tre sono le donne che ci accompagnano in questa giornata: Maria, la madre, Benedetta, esempio di malata che ama nella sofferenza, e di Madre Teresa, esempio di volontaria che serve i malati, amandoli…

Se siamo qui a celebrare l’eucaristia è proprio per dire che Dio ci ama, in qualsiasi condizione ci troviamo.

A Lourdes, il fatto che Maria sia apparsa in una grotta oscura, in un luogo sconosciuto allora che si chiama Massabielle, la vecchia roccia, ci dice che Dio viene a raggiungerci ovunque siamo, nel pieno delle nostre miserie, di tutte le nostre cause perse. Egli non ci abbandona mai.

La Grotta non è soltanto il luogo dell’evento, un luogo geografico, è anche un luogo dove Dio ci dà un segno per svelarci il suo cuore ed il nostro cuore. È un posto dove Dio ci lascia un messaggio che non è altro che quello del Vangelo. Dio viene a dirci che ci ama – ecco tutto il contenuto del “Messaggio di Lourdes” -, che ci ama così come siamo, con tutti i nostri successi, ma anche con tutte le nostre ferite, le nostre fragilità, i nostri limiti.

E non posso concludere questa omelia senza ricordare Benedetta, figlia della nostra terra, giovane medico, credente gioiosa e amorevole anche dentro il tunnel della malattia più devastante.

Benedetta ci ricorda come la sofferenza non è mai volontà di Dio, come non lo è la morte, ma ci ripete che anche nella sofferenza noi possiamo abbracciare l’amore di Dio e soprattutto possiamo non solo ricevere ma anche dare amore agli altri.

Pensate Benedetta era felice anche nella malattia Gesù è con me, con il mio patire…

Preghiamo la Madonna di benedire ognuno di noi, le nostre famiglie, i nostri ammalati, questa città. Chiediamole di donarci la sua fede e la sua carità, per essere capaci di donare la nostra vita a imitazione di Cristo, come ci invita a fare il papa nel suo Messaggio per la XXIII Giornata Mondiale del Malato che oggi si celebra.

Soprattutto chiediamo a Maria di mostrarci suo Figlio e di renderci generosi e intraprendenti nel donarlo ai nostri fratelli, proprio come lei ha iniziato a fare con Elisabetta e come ancora oggi continua a fare con chiunque si rivolga al suo sguardo materno.

Grazie, Signore, per tutti coloro che con amore operano nelle strutture di cura, grazie per le carezze che doni e che ci fai donare, grazie per gioia che doni ai tuoi figli che mai abbandoni e mai abbandonerai, nei secoli dei secoli. Amen.