Omelia a Galeata per la festa di Sant'Ellero 2020

15/05/2020

Nel nostro cammino di ricerca di ripresa nella speranza, facciamo oggi una tappa in mezzo ai boschi di Galeata, respirando ossigeno puro per l’anima e per il corpo, e soprattutto per ringraziare il Signore per il dono di un grande santo patrono, s. Ellero. Una pianta secolare che continua a dare frutti spirituali.

Sant’Ellero è vissuto più di 1500 anni fa, in tempi di grandi cambiamenti. Ricordo solo un evento storico: nacque l’anno stesso della fine dell’Impero Romano d’Occidente, il 476 d.C. E con la fine dell’Impero, tra l’altro, finì anche la consuetudine di contare gli anni dal regno dell’Imperatore in corso. Venendo meno questo riferimento, nel 500 circa Dionigi il Piccolo, su richiesta di Papa Onorio, calcolò gli anni a partire dalla nascita di Cristo. Per 500 anni così non era avvenuto.

Crebbe, a quel tempo, l’importanza della città di Ravenna. Come San Benedetto (480 circa – 547), di cui era contemporaneo, sant’Ellero fondò un monastero qui a Galeata. C’erano anche grandi tensioni nella chiesa. L’eresia ariana, che aveva coinvolto molti fedeli e vescovi, negava la Divinità di Cristo. Anni non facili. Guerre e miseria erano minacce concrete. Il futuro era molto incerto. Come rispose a questa crisi Sant’Ellero?

Le sue risposte sono attuali anche per noi oggi. Le sue risposte, infatti, sono le nostre risposte in questi mesi così difficili. Sant’ Ellero scelse, in un primo momento, di ritirarsi nel silenzio e nella preghiera. Un lungo periodo di quarantena, oseremmo dire. E poi ne uscì, fondando comunità monastiche che si rivelarono semi di futuro nel cammino della vita del popolo di Dio. Fari di fede e di civiltà. Sempre le vere opere della chiesa sono ecclesiali, se ne beneficia tutta la società.

Silenzio e vita comune. Vangelo e carità concreta, che non lascia solo nessuno. Ma tutto questo richiede anche una scelta di responsabilità esigente.

Non a caso sono state scelte le letture di oggi.

Dalla prima lettura, tratta dal libro dei Re, si comprende il primo insegnamento di vita di sant’Ellero, la capacità di discernimento. La sua non è stata una fuga dal mondo, ma un saper cogliere l’essenziale e trovare un senso nella vita, anche nel pieno degli sconvolgimenti di allora. Anche il profeta Elia ha fatto la sua quarantena, una quarantena itinerante. Con il cibo donatogli dall’angelo, egli cammina per quaranta giorni e quaranta notti. Si mette all’entrata della caverna e attende il passaggio del Signore. Ci sono diversi sconvolgimenti, tuttavia il Signore non è nel vento impetuoso o nel terremoto, ma nel vento leggero.

Scoprire la presenza del Signore senza lasciarsi travolgere dalla paura è il messaggio che torna utile a noi anche oggi. È il Signore che indica la strada. Ma, per ascoltarlo, ci vuole silenzio.

In questi mesi abbiamo avuto la possibilità di riflettere, abbiamo maturato delle consapevolezze. Non dimentichiamole.

La seconda traccia che ci regala sant’Ellero è la fraternità. Ad un periodo di silenzio, di digiuno, di ascolto della Parola, segue il tempo della costruzione di comunità. Luoghi di speranza, per dichiarare che un mondo nuovo è possibile. Raccoglie attorno a sé degli uomini innamorati di futuro e di speranza, perché innamorati prima di tutto di Dio. Monaci, che nel lavoro, nella preghiera, nello studio, nella vita comune ritrovano il punto di ripartenza per la società di allora, con il coraggio storico di porre dei gesti di grande discontinuità. In questi giorni abbiamo riscoperto la preghiera personale, in famiglia, abbiamo desiderato la vita comune, e l’abbiamo forse come non mai sentita vicina, viva e vitale.

Se ci è mancata la vita di comunità, non dimentichiamola più.

Occorre scegliere.

Sant’Ellero ha scoperto nel silenzio e nella preghiera la via indicata da Cristo, e per seguirlo ha rinunciato a tutti i suoi averi per essere suo discepolo.

Ci colpiscono due frasi del vangelo, fatte proprie fino in fondo da sant’Ellero, valide anche per noi.

Il Signore dice: “Chi non mi ama più di quanto ami suo padre, sua madre…”… Mi pare che il commento più bello a queste parole sia quello di Sant’Ambrogio: “Il Signore non comanda di ignorare la natura né di accanirsi contro di essa, bensì di assecondare talmente la natura da venerare il suo autore e da non allontanarsi da Dio per amore dei genitori”: l’amore di Dio ci aiuta ad amare i fratelli. E quindi anche i genitori e i coniugi, che vanno amati in Dio e in ordine a Dio.

Quando poi il Signore dice “Chi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo”, non chiede che tutti facciano come San Francesco. Certo, se qualcuno fa come San Francesco, fa un’ottima cosa e sommamente grata a Dio.

Ma c’è stato qualcuno, più vicino a noi nel tempo e nello spazio a sant’Ellero, e parlo di don Giulio Facibeni. Lo ricordiamo perché era nativo di Galeata e si sarà lasciato ispirare dalla vita di sant’Ellero scegliendo di dedicare la vita ai fratelli più piccoli fondando l’opera Madonnina del Grappa. Lo ricordiamo anche perché ricorre oggi il decimo anniversario della morte di un suo confratello, don Carlo Zaccaro. Abbiamo anche la gioia oggi di ricordare don Giulio dopo che, nel dicembre scorso, papa Francesco lo ha proclamato Venerabile. Un passo prima della beatificazione.

Dal tronco di Sant’Ellero continuano ancora a spuntare germogli dopo secoli, a dare ossigeno alla nostra vita, talvolta dal respiro corto. I testimoni del vangelo ci aiutino respirare a pieni polmoni la vita, sapendo valutare ciò che veramente conta per noi, per i nostri cari e per la società tutta.