Omelia ai funerali di don Giancarlo Barucci 2020

25/08/2020

Mentre domenica pomeriggio ero accanto a don Giancarlo. Il suo respiro era sempre più affannoso. Da lì a poco sarebbe spirato. La sua vita era iniziata con un respiro e immagino un pianto apparentemente disperato ma in realtà quel respiro indicava l’ingresso gioioso in questa vita. Tutta la sua vita su questa terra è stata poi un incessante respirare a pieni polmoni, senza mai conoscere pausa. E infine sono arrivati gli ultimi affannosi respiri; anche questi apparentemente segnavano la fine della sua vita, invece erano l’ingresso ad una nuova e definitiva vita, l’ingresso nel Regno dei cieli, nella vita eterna.

Nel pomeriggio della solennità dell’Assunzione, la Pasqua dell’estate, don Giancarlo ha chiesto di ricevere dalle mie mani l’unzione degli infermi. L’ultima unzione. L’ha ricevuta con grande fede e serenità. Don Giancarlo amava la vita, desiderava continuare a vivere, ha umanamente sperato di continuare a vivere come uomo, come cristiano e come prete. Amava la Chiesa e amava il Vangelo. E nell’approssimarsi della morte, don Giancarlo ha dato una testimonianza di fede, anche nella sofferenza.

Le sue ultime messe, celebrate con tanta intensità in questa chiesa, manifestavano la sua carica umana, la sua volontà di vivere, e dentro a tutto questo la sua fede.

Condivido il pensiero di tutti voi: la sua morte è una grande perdita. Abbiamo perso un patrimonio di conoscenze, di cultura, di formazione, di saggezza, di cui molti di voi che siete qui vi siete avvalsi. Era un punto di riferimento per la formazione per molti in diocesi, per i preti, i diaconi, i ministeri, per i laici.

Don Giancarlo non era solo un bravo insegnante, ma anche un testimone di umanità. Ogni incontro e dialogo lasciava sempre qualcosa. Educatore sempre.

La sua intelligenza era accompagnata da un bel carattere, da un sorriso, da uno sguardo profondo, spesso ironico e buono. Anche troppo. Qualche volta mi ha fatto proprio esclamare: “Don Giancarlo, sei troppo buono!”.

Prima di continuare voglio ringraziare i parrocchiani di San Benedetto per la loro vicinanza. Ricordo la bellissima serata dedicata a san Francesco. Ringrazio Pino e Rita. Le sorelle Dives in Misericordia e tante persone che gli sono state accanto, in particolare don Emmanuele e i confratelli sacerdoti.

Don Giancarlo aveva 78 anni. Originario della Val d’Ossola, di San Ambrogio di Omegna in provincia di Novara, si era poi trasferito con la famiglia a Forlì e fino all’età di 8 anni è cresciuto a Meldola. Un ulteriore trasferimento della famiglia lo ha riportato in Val d’Ossola fino al 1960, poi la famiglia tornò a Forlì, nella parrocchia della Cava, dove era parroco don Mario Ricca. Il 27 giugno 1965 è stato ordinato sacerdote. Ricordiamo che il Concilio si concluse solennemente l’8 dicembre dello stesso anno. “Erano anni di entusiasmo e di fermento” ricordava lo stesso don Giancarlo. Fu molto importante per la sua maturazione l’incontro con una decina di altri preti di diversa sensibilità, tra essi don Francesco Ricci.

Dopo i primi 5 anni come cappellano alla Cava, don Giancarlo è stato vicerettore in seminario e insegnante di religione al Liceo Classico di Forlì. Dal 1975 è stato per 38 anni parroco di Schiavonia, a cui si aggiunse nel 1997 anche la parrocchia della SS. Trinità.

Don Barucci ricopre anche incarichi diocesani e attualmente era responsabile del centro per il diaconato permanente e la formazione dei ministeri istituiti. Ha guidato anche l’Ufficio per la pastorale della scuola ed è stato, dal 2007 al 2015, vicario episcopale per la vita religiosa, la catechesi, la liturgia, il diaconato permanente e i ministeri e l’ecumenismo; dal 1° ottobre 2013 era parroco della parrocchia di San Benedetto Abate.

Don Giancarlo era un uomo di profonda fede. Ma sempre in ricerca. Riprendo alcuni passaggi di una sua lezione di alcuni anni fa, tenuta ai preti, in un incontro di formazione per il clero, dal titolo, se ho capito bene: "Cosa c’è nell’aldilà?" di cui potete trovare l'audio nel sito della diocesi. Voglio sottolineare solo due passaggi di quell’intervento, facendo commentare a lui il primo dei brani biblici scelti per illuminare di fede la morte.

Don Giancarlo nella sua lezione manifestava la sempre grande sorpresa dei padri della fede Abramo, Isacco e Giacobbe, che non condividevano la nostra fede nella vita eterna. “Il popolo del primo Testamento, ha vissuto quasi tutta la sua storia senza l’idea di una vita beata presso Dio. La fede di Abramo non pensa l’al di là. Il popolo del primo testamento conosce lo Sheol il regno dei morti in cui l’uomo sopravvive lontano dai viventi. Qoelet dice che la sorte degli animali e dell’uomo è lo stesso. Tutto è vanità. Tutto ritorna alla polvere.”

Così commentava don Giancarlo: “La fede nasce prima dalla consapevolezza dell’amore di Dio e dopo la fede nella vita che continua e vince la morte. Degli uomini religiosi hanno potuto credere a Dio senza credere alla vita eterna. Degli uomini si sono sentiti amati da Dio senza la ricompensa eterna. Credono in Dio per se stesso. Solo in seguito incominciano a credere nell’al di là.”

Ma allora la benedizione di Dio? È tutta trasportata nell’aldiquà; la vocazione dell’uomo alla felicità si realizza in questa terra. Solo più tardi, quando all’epoca dei Maccabei, molti giovani hanno trovato una morte prematura senza alcuna benedizione su questa terra, incomincia a nascere l’idea che Dio deve darci una vita felice anche nell’aldilà. Deve premiare il loro sacrificio.

Anche all’epoca di Gesù questa credenza nella vita nell’aldilà è lontana dalla credenza del popolo. Conosciamo il confronto fra i sadducei che negano la risurrezione e quindi la vita eterna e i farisei. Gli stessi discepoli, alla prospettiva della risurrezione, si chiedevano cosa potesse significare la risurrezione dei morti.

Anche San Paolo, nella prima ai Corinti 15,12 si dice desolato, di fronte alla mancanza di fede nella risurrezione da parte di alcuni cristiani, e dichiarava: se non c’è risurrezione, Cristo non è risorto. E se Cristo non è risorto vana è la nostra fede.

Gesù viene non solo da Betlemme, ma dal mondo divino, dall’al di là, ed è risorto da morte. Uno che è testimone della realtà che ci attende.

Un uomo ha vinto la morte. L’al di là è un fatto. Il nostro futuro è già cominciato. Cos’è l’al di là? è un dono, una invenzione di Dio. Il suo contenuto non è deciso da noi.

Ho voluto dare voce a Giancarlo sintetizzando il suo intervento.

Ma soprattutto don Giancarlo ripete con noi le parole di Gesù che abbiamo ascoltato nel vangelo: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in Gesù. Nella casa del Padre nostro vi sono molti posti. Io sono andato avanti. Dove sono ora voi tutti conoscete la via. E Gesù è la via, la verità e la vita. Confortatevi e sostenetevi l’un l’altro come Gesù ci ha insegnato.”

Grazie, don Giancarlo, per la tua fede sorridente e decisa, semplice e profonda. Il tuo compito non è finito continua a pregare per noi, con l’animo del pastore che non dimentica le sue pecore. E noi continueremo a ricordarti nelle nostre preghiere.