Omelia alla messa della Natività 2019

24/12/2019

Omelia alla messa della Natività (24 dicembre 2019)


Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce.

La grande luce è nata in una grotta, deposta in una mangiatoia, accolta per prima dai poveri.

Ma perché il Figlio di Dio ha voluto stare in mezzo ai poveri e nascere povero?

Diceva un teologo sud americano: «Tutti vogliono crescere nel mondo, ogni bambino vuole essere uomo. Ogni uomo vuole essere re. Ogni re vuole essere “dio”. Solo Dio vuole essere bambino» (Leonardo Boff).

Dio nella piccolezza: è questa la forza dirompente del Natale. L'uomo vuole salire, comandare, prendere. Dio invece vuole scendere, servire, dare. È il nuovo ordinamento delle cose e del cuore. Questo è il messaggio del Natale. Dio va controcorrente!

Papa Francesco dice nella lettera sul presepe: “Dio si è fatto bambino per dirci quanto è vicino ad ogni essere umano in qualunque condizione si trovi”.

Gesù non è nato a caso nella periferia di Betlemme. È nato in mezzo ai pastori, poveri, e riconosciuto dagli stranieri, i Magi. Per questo sono stati invitati i pastori.

Ma, ci chiediamo, noi saremmo stati invitati?

I pastori c’erano perché avevano ricevuto l’invito, l’annuncio degli angeli. I Magi avevano visto una stella, che era una sorta di invito.

Non altri. Alla grotta di Betlemme non sono stati invitati i potenti del mondo né i ricchi, né i presuntuosi, né i difensori delle sacre tradizioni, né i filosofi o i professori, né gli influencer di allora, o i conduttori di talk show, né i custodi di poteri religiosi che erigono barriere attorno a Dio.

Accanto al Bambino troviamo alcuni pastori, che accorrono dopo aver avuto indicazioni da un angelo.

Cosa hanno fatto per meritare l’invito? Niente! Erano poveri, umili, senza pretese… niente avevano e niente avevano ricevuto, neanche una mancia. Non hanno offerto loro neanche un buffet come si conviene…. Niente.

C’erano Maria e Giuseppe, ma loro, almeno, avevano scelto di collaborare con Dio.

Maria invece aveva detto di sì, nove mesi prima, rivoluzionando la sua vita. Così come Giuseppe, che aveva salvato e custodito Maria e il bambino di cui era incinta, accogliendola come sua sposa anche se il Figlio non era suo. Un figlio che, come gli disse l’Angelo, era stato concepito dallo Spirito santo.

Ma i pastori non avevano fatto niente. Pura grazia.

Erano gli invitati alle nozze presi per strada, come da grande Gesù racconterà in una famosa parabola.

Ancora di più. I pastori, che erano considerati degli scarti, rappresentano i nostri fallimenti. Ma Dio raccoglie la sfida, non ha vergogna di noi, della nostra fragilità, delle nostre ferite. Anzi, come dice oggi Carron (Corriere della sera): “Non ci offre una parola consolatoria, ma accade nella nostra vita. Per farci capire quanto valiamo, il Verbo si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi (cfr. Gv 1,14).” Dio ha fiducia delle nostre fragilità.

Non solo, ma proprio loro, i pastori, i poveri, i fragili, sono diventati i primi araldi del vangelo.

Essi raccolgono l’invito a incontrare il Signore: «Vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore» (Lc 2,10-11).

Noi oggi siamo stati invitati. Siamo fortunati. Siamo qui perché siamo stati riconosciuti con le qualità necessarie per accogliere il Signore: abbiamo l’umiltà di Maria, l’obbedienza di Giuseppe e la capacità di ascolto dei pastori. Con questi sentimenti si può entrare nel presepio, si può stare accanto al Signore. Ma è proprio vero? Faccio miei gli auguri di p. Francesco: “Vi auguro un Natale cristiano, come è stato il primo, quando Dio ha voluto capovolgere i valori del mondo, si è fatto piccolo in una stalla, con i piccoli, con i poveri, con gli emarginati… La piccolezza. In questo mondo dove si adora tanto il dio denaro, che il Natale ci aiuti a guardare la piccolezza di questo Dio che ha capovolto i valori mondani”. (Papa Francesco)

Un’ultima sottolineatura.

Tutti coloro che incontrano Gesù, poi, maturano un ulteriore atteggiamento, che i racconti di Natale ci dicono essere condiviso da quanti stanno attorno alla mangiatoia: lo stupore e la gioia.

Gli angeli lodano Dio dicendo: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini, che egli ama» (Lc 2,14). E, più avanti, il racconto riferirà che, dopo essere stati alla grotta, «i pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro» (Lc 2,20), mentre al loro riferire le parole degli angeli a riguardo del bambino, «quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori» (Lc 2,18).

La gioia è la tessera di riconoscimento che abbiamo incontrato il Signore. Lo stupore che vince lo scontato.

Ce lo ricorda Benedetta, la cui foto giganteggia ancora nella nostra cattedrale a ricordo della sua beatificazione del settembre scorso. Con il suo Magnificat recitato al termine della vita dove ci conferma di essere nelle grazie del Signore.

Leggevo in questi giorni una citazione di Fëdor Dostoevskij che racconta nel suo Diario di uno scrittore di una festa di Natale a cui assistette, durante la quale, constatava “tutti si divertivano ma nessuno era contento”.

Forse è la foto di tante nostre situazioni…

L’umiltà, lo stupore e la gioia siano i sentimenti di questa notte e di ogni giorno vissuto nel nome di Gesù. Sia questo il nostro buon Natale, che auguro a tutti di cuore!