1° maggio 2023
“Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. 17Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. “ (Mt.28,16-17)
Cari fratelli e sorelle, le ultime parole scritte del vangelo di Matteo contengono tre azioni dei discepoli e sei di Gesù.
“Gli undici discepoli andarono in Galilea.”(Mt.28, 16)
La presenza dei discepoli non era casuale, l’angelo aveva detto alle donne: “Presto, andate a dire ai suoi discepoli è risorto e ora vi precede in Galilea”(Mt.28,10). Per Matteo è la Galilea il luogo dell’incontro. La Galilea delle genti, territorio di periferia, di nazionalità miste, luogo dove tutto era partito. Il luogo dell’Annunciazione, della vita in famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, del lavoro e della vita di paese. Non sono andati per nostalgia ma per sperimentare un nuovo inizio, per incontrare il Signore Risorto e per ripartire.
Cari fratelli e sorelle, siamo qui su questo colle di Bertinoro perché questo luogo è la Galilea delle nostre sorelle clarisse francescane missionarie del santissimo sacramento. Sono venute su questo monte che il Signore aveva loro indicato 125 anni fa, per ritrovarsi e per ripartire in questo giorno di festa così bello, solenne e impegnativo. In questo luogo delle origini, dove convivono le radici e frutti più teneri.
Come loro, anche noi abbiamo sempre bisogno di ritornare ad incontrare Cristo risorto. La nostra Galilea è l’Eucaristia celebrata lì dove viviamo.
Seconda azione dei discepoli, cosa fanno “appena lo videro? Si prostrarono”(Mt.27, 17a). Ci si prostra solo davanti a Dio. È una professione di fede che si esprime attraverso un gesto del corpo (che noi usiamo poco), attraverso il quale i discepoli riconoscono che Gesù è Figlio di Dio. Parla solo il corpo. Nelle ordinazioni e nelle professioni ci si prostra, come anche il venerdì santo lo fa il presbitero che presiede la memoria della Passione.
Care sorelle, condividiamo la vostra gioia per essere tornate qui a Bertinoro, luogo da dove tutto era partito, per prostrarvi davanti al Signore della vita, al quale avete donato la vostra vita, e lo fate in comunione con la Chiesa. E di questo vi ringrazio. Oggi in particolare il nostro pensiero grato e riconoscente va alle sorelle che vi hanno preceduto, alla madre Serafina Farolfi, il cui entusiasmo è bene espresso dalla pagina d’inizio libretto della messa. È bello per voi, e per noi, essere qui. E ripetere il suo motto: “Amare, far amare l’Amore, senza che l’azione tolga il soave riposo alla contemplazione”.
Infine, c’è un ultimo verbo che riguarda i discepoli: “essi però dubitavano (Mt.28,17b). Mi colpisce sempre molto questo verbo. Sembra una stonatura. Perché san Matteo non lo ha cancellato? Sono di fronte a Cristo risorto, sono insieme, per l’ultima volta, cosa c’è da dubitare? E poi, c’era bisogno di dirlo?
Eppure, ci tengo molto a questo verbo. Anche quando mi prostro in preghiera, non perdo la mia umanità e la mia fragilità. E non la devo cancellare. Grazie Matteo, perché hai avuto il coraggio di tenere quel verbo, è consolante e incoraggiante per noi tutti. Come Gesù, lo vedremo, affida la sua missione a discepoli contenti ma ancora esitanti, così il Signore affida a noi oggi, gioiosi ma anche dubbiosi, di continuare la sua missione. Siamo e rimaniamo sempre uomini e donne con i nostri entusiasmi e le nostre debolezze. Non nascondiamo le nostre fragilità.
Di che cosa dubitano? Lo vedevano il Risorto o no? Rimane un mistero. Se ci fossimo stati noi, avremmo finalmente lasciato la fede (crede chi non vede; se si vede, non c’è bisogno della fede) e abbracciato la visione. E, invece, su questa terra, e da parte di tutti, ci vuole fede, sempre. Ci vuole fede per noi che non abbiamo visto (e siamo beati per Gesù) e ci è voluta fede anche per loro.
Care sorelle, nelle difficoltà della vita, non abbiate paura dei vostri dubbi. Talvolta anche noi siamo oscurati dalle nubi dei dubbi. Avvolti dall’oscurarsi della fede, dal permanere delle nostre fragilità, preoccupati del futuro della fede, e da tanti dubbi e difficoltà, il Signore risorto ci invita a tornare qui, a varcare la porta di questa chiesa e delle vostre chiese per incontrarlo e riprendere il cammino. Lui non ha paura dei nostri dubbi. Ha invece paura della nostra freddezza, della mondanità spirituale, delle nostre divisioni, del nostro cuore diviso, tutte cose che appesantiscono la scelta compiuta su questo monte.
Solo dello spegnarsi dell’amore dovete e dobbiamo avere paura.
Nella prima lettura, la prima comunità viene descritta unita, solidale, in preghiera. Ma non sarà sempre così. È un farsi…
Nella seconda, splendida lettura, l’inno all’amore ci ricorda che la sua fiamma è pienezza di vita e va mantenuta sempre accesa. Come? Ecco allora gli altri sei verbi di Gesù.
“Gesù si avvicinò e disse loro” (Mt 28,18a). Gesù si fa prossimo di ciascuno di noi e parla. E continua a parlarci. Attraverso le Sacre Scritture, attraverso gli avvenimenti del tempo presente. Ma soprattutto manda: “andate dunque” (Mt.28,19) .
Il verbo andare è quello che dà senso al ritornare e al prostrarsi. Il vostro compito non si esaurisce nell’incontro, nell’ascolto, nella comunione, ma sfocia nell’andare. Non c’è comunione senza missione. Ognuno ha un luogo di destinazione. Nessuno rimane senza una missione. Fosse anche in clausura o sulla sedia a rotelle. Il Signore manda tutti: andate dunque. Andate sempre. Non fermatevi mai!
Ordinariamente, il Signore affida due compiti: battezzate e insegnate. Nel battezzare ed insegnare sta la missione della Chiesa. Siamo missionari non perché mandati, ma perché è la nostra natura. La Chiesa è missionaria o non è Chiesa. Dite a tutti che siamo entrati in una comunità d’amore dove regna un amore che si dona fino fondo. Non c’è missione senza comunione. Comunione con Dio e fra di noi.
Abbiamo paura? Non ce la faremo? Anche 125 anni fa, suor Serafina (e le prime sorelle) poteva pensare che l’avventura sarebbe stata impossibile. Non è detto se anche lei dubitasse. Forse chi aveva l’incarico di stendere il diario, non avrà avuto il coraggio di scrivere i dubbi e le paure… Ma, sr. Serafina, ha fatto prevalere la fiducia nella promessa di Dio: “Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”(Mt.28, 20).
Care sorelle vi affido un bel compito: Riattizzare, oggi e ovunque, il fuoco delle fede.
“Karl Rahner – disse il cardinal Martini nell’ultima sua intervista, nel 2012, al Corriere della sera – usava volentieri l’immagine della brace che si nasconde sotto la cenere. Io vedo nella Chiesa di oggi così tanta cenere sopra la brace che spesso mi assale un senso di impotenza. Come si può liberare la brace dalla cenere in modo da far rinvigorire la fiamma dell’amore?”.
La fiamma c’è, arde, ma c’è tanta cenere, almeno nel nostro mondo occidentale. Il vostro amore per Cristo custodito nella preghiera e nell’adorazione, curato nell’ascolto, accenda e riaccenda dello stesso fuoco che spinse i discepoli di ogni tempo ad annunciare a tutti che Cristo è vivo e ci vuole vivi! E noi abbiamo bisogno di lui, del suo fuoco e del suo amore, per vivere. Il Giubileo, riaccenda il fuoco in tutti.