Orientamenti dell'anno pastorale 2022-2023

25/10/2022

ORIENTAMENTI PASTORALI 2022-2023

“Di una cosa sola c’è bisogno” (Lc. 10,42)


Premessa
Ci ritroviamo nell’icona biblica di Marta e Maria, che fotografa bene anche la nostra condizione di credenti, invitati a mettere al centro l’ascolto della Parola, l’unica cosa che veramente conta. Ma, come Marta, siamo impegnati e distratti da tante altre cose, dimenticando l’unica cosa essenziale.


1. ICONA BIBLICA. VISITA DI GESÙ ALLA CASA DI BETANIA

1. Marta e Maria. L’icona biblica di Marta e Maria ci accompagnerà in questo anno pastorale dedicato ai cantieri di Betania. Ci riconosciamo negli atteggiamenti delle amiche di Gesù.
A volte, proprio come Marta, ci sentiamo stanchi e incompresi perché assorbiti dalle troppe cose da fare, tanto da prendercela anche con Gesù, accusato di averci lasciati soli. In realtà, siamo noi che non lo ascoltiamo e pensiamo di saper fare anche senza di Lui! Ci affanniamo in molte cose per il Signore, ma senza capirne veramente il senso.  Affidandoci alla regola d’oro, attualmente più praticata della nostra pastorale: “si è sempre fatto così” e “ci sono sempre quelli che lo fanno”. Non dimentichiamo Lazzaro che, stranamente, resta passivo e muto, come se tutto il dibattito fra le sorelle e Gesù non lo riguardasse.

2. La parola a Gesù. Marta voleva far dare un pasto a Gesù e ai suoi discepoli, ma ancora non aveva compreso di lasciare a Gesù la Parola e la centralità nella scena della sua vita. Marta, come dice papa Francesco, è malata di “martalismo” e continua a servire come ha sempre fatto, ma con la risurrezione tutto è cambiato. Rimprovera la sorella di averla lasciata sola per ascoltare Gesù: paradossale.
Maria ascolta, mettendosi ai suoi piedi e non facendo nient’altro. Istintivamente, anche noi siamo portati a stare dalla parte di Marta. Qualche volta pensiamo che ascoltare la Parola sia perdere tempo e facciamo molta fatica a fare silenzio. E c’è anche qualcuno che pensa che dedicare la vita alla preghiera sia una perdita di tempo. Spesso le nostre preghiere sono fatte di parole, ma non di Parola.
In questo secondo anno di cammino sinodale ci ricordiamo a vicenda che stare con Gesù, fare spazio a Lui, confrontarci con i suoi sentimenti, con la sua Parola, significa scegliere che la parte migliore non ci sarà tolta. Come nelle processioni, mettendo al centro Gesù impareremo a camminare insieme. Cercando il Signore, troviamo e ascoltiamo il prossimo. Siamo sinodali se al centro c’è Gesù! Come Maria, mettiamoci ai piedi di Gesù, ascoltiamo, da soli o insieme, il suo vangelo. Confermiamo o decidiamo di partecipare ai gruppi del vangelo. Da lì ripartiremo per servirlo nei fratelli più piccoli, anche loro Corpo di Cristo.


2. I CANTIERI DI BETANIA

Condividiamo i tre cantieri delle chiese che sono in Italia e teniamo ben presente la sintesi diocesana dei gruppi sinodali del primo anno dell’ascolto. Brevemente li ricordo.

Il cantiere dei mondi
“Si apre per noi il cantiere della strada e del villaggio, dove presteremo ascolto ai diversi “mondi” in cui i cristiani vivono e lavorano, cioè “camminano insieme” a tutti coloro che formano la società; in particolare occorrerà curare l’ascolto di quegli ambiti che spesso restano in silenzio o inascoltati.”

Il cantiere dell’ospitalità e della casa
“Il cantiere dell’ospitalità e della casa dovrà approfondire l’effettiva qualità delle relazioni comunitarie e la tensione dinamica tra una ricca esperienza di fraternità e una spinta alla missione che la conduce fuori. Si interrogherà poi sulle strutture, perché siano poste al servizio della missione e non assorbano energie per il solo auto-mantenimento, e dovrà verificarne sostenibilità e funzionalità. In un “cambiamento d’epoca” come il nostro (cf. Papa Francesco, Discorso ai rappresentanti del V Convegno Nazionale della Chiesa italiana, 10 novembre 2015), tale verifica dovrà includere l’impatto ambientale, cioè la partecipazione responsabile della comunità alla cura della casa comune (cf. Laudato si’). Questo cantiere si può aprire anche sugli orizzonti del decentramento pastorale, per una presenza diffusa sul territorio, oltre che sulle strutture amministrative come le “unità pastorali” e simili. Nell’ambito del cantiere sinodale si potrà poi rispondere alla richiesta, formulata da molti, di un’analisi e un rilancio degli organismi di partecipazione (specialmente i Consigli pastorali e degli affari economici), perché siano luoghi di autentico discernimento comunitario, di reale corresponsabilità, e non solo di dibattito e organizzazione.”

Il cantiere delle diaconie e della formazione
“Si apre il cantiere delle diaconie e della formazione spirituale, che focalizza l’ambito dei servizi e ministeri ecclesiali, per vincere l’affanno e radicare meglio l’azione nell’ascolto della Parola di Dio e dei fratelli: è questo che può distinguere la diaconia cristiana dall’impegno professionale e umanitario. Spesso la pesantezza nel servire, nelle comunità e nelle loro guide, nasce dalla logica del “si è sempre fatto così” (cf. Evangelii Gaudium 33), dall’affastellarsi di cose da fare, dalle burocrazie ecclesiastiche e civili incombenti, trascurando inevitabilmente la centralità dell’ascolto e delle relazioni.”

Dalla proposta nazionale dei cantieri di Betania ai nostri cantieri diocesani.
Il nostro cantiere diocesano è aperto da tempo.
Se vogliamo, è stato aperto dal sinodo diocesano del secolo scorso. La vita pastorale della nostra diocesi è debitrice di alcune intuizioni e proposte del sinodo del 1995-1997.
L’altro punto da cui ripartire è la sintesi frutto degli incontri del 2019 che si tennero in tutti i vicariati, raccolta nel documento “Indicazioni per i Vicariati” del gennaio 2020.

Infine, la sintesi dei gruppi sinodali che si sono tenuti agli inizi di questo anno solare.
Non buttiamo via niente, teniamo insieme tutta questa attività che manifesta una vitalità della chiesa che talvolta sottovalutiamo.
La chiesa è molto meglio di come viene rappresentata dall’opinione pubblica, nella pubblicistica e anche fra gli stessi cristiani, dove prevalgono le immagini negative. Si personalizza il bene e si generalizza il male. Se uno fa bene, è merito suo; se fa male, la colpa cade su tutta la chiesa. Basti vedere, ad esempio, la fine che sta facendo Annalena Tonelli: è diventata non un membro della chiesa, ma un singolo caso eccezionale di solidarietà, quasi una eccezione nella chiesa.
A noi, oggi, il compito di tenere insieme il cammino comunitario di questi anni e scegliere e agire di conseguenza.
Tenendo conto che il cambiamento non è riconosciuto e accolto da tutti, anzi. Ci sono nelle nostre comunità molti che chiedono solo di continuare così come hanno sempre fatto. Ma ci sono altri, una minoranza, che vogliono cambiare, non per il solo gusto di cambiare, ma perché la fede va vissuta incarnandosi nel tempo e nella carne dell’uomo d’oggi.


3. IL QUARTO CANTIERE DALLA SINTESI FINALE DEL PRIMO ANNO

Concentriamoci ora sulla sintesi finale diocesana, da cui erano emerse alcune linee precise di cambiamento che diventa per noi, il quarto cantiere:
•    Nei gruppi non si nasconde il disagio verso celebrazioni avvertite come frettolose, dimesse, poco preparate e preparate da pochi. Soprattutto si chiede più cura per la liturgia della Parola: per la proclamazione come per la predicazione.
•    Nell’iniziazione cristiana mancano sempre più spesso il supporto e la testimonianza cristiana dei genitori: il cammino dei figli non è sostanzialmente seguito, la catechesi viene concepita come una sorta di itinerario scolastico e non come un itinerario di fede, la messa domenicale come slegata dal percorso di iniziazione. In tante parrocchie l’offerta formativa termina con la cresima (in prima media). I catechisti sono pochi numericamente e lamentano di essere impreparati, sia da un punto di vista pedagogico sia da un punto di vista dei contenuti della fede.
•    Più che luogo di attività, la parrocchia dovrebbe essere un luogo di amicizia e di fraternità. Si auspica che le energie migliori vadano spese nel costruire reti amicali, sia dentro la comunità sia all’esterno: esse saranno di aiuto nel camminare insieme come Chiesa e nel camminare insieme con la comunità civile.

Infine, tre sono le proposte concrete di rinnovata sinodalità:
•    La valorizzazione dei luoghi e delle possibilità di confronto che già ci sono e che, tuttavia, non sempre vengono sfruttati adeguatamente.
•    Il ripensamento della distribuzione dei compiti dentro le comunità.
•    La necessità di una formazione adeguata dei laici; la formazione necessaria anche per la missionarietà e la testimonianza da offrire al mondo.


4. PROPOSTE DIOCESANE PER IL SECONDO ANNO

- Impariamo lo stile sinodale proponendo i gruppi sinodali nel nostro territorio.
Confermiamo la proposta di riconvocare i gruppi sinodali con le indicazioni della segreteria diocesana, per rileggere insieme la sintesi del primo anno ed individuare le priorità.
Proponiamo questo interrogativo: cosa proporre per migliorare la vita pastorale delle nostre parrocchie e, in particolare, come valorizzare le strutture pastorali di partecipazione?
Non solo nei gruppi sinodali specifici, ma anche gli incontri parrocchiali, facciamoli precedere dagli interrogativi del cammino sinodale.

- Ascoltare chi non frequenta la comunità
Accanto alla proposta dei gruppi sinodali fra membri della comunità, proponiamo di allargare il cerchio.
I consigli pastorali parrocchiali, le associazioni e i movimenti, le comunità di vita consacrata, tutte le espressioni e i luoghi di incontro ecclesiali si interroghino sulle modalità più opportune per promuovere uno o due incontri con realtà o gruppi spesso lontani dal nostro mondo.
Potremmo ascoltare gli invitati su cosa apprezzano e cosa non li convince della proposta cristiana, a partire dal loro giudizio e dalla loro esperienza concreta.
Cosa cambiare, secondo loro, nelle nostre comunità per migliorare l’effettiva qualità delle relazioni nelle nostre comunità?


5. ASCOLTARE PER SCEGLIERE

Siamo chiamati a ripensare alla nostra presenza ecclesiale sul territorio forlivese da qui ai prossimi anni, consolidando la nostra capacità di ascolto dentro e fuori il contesto ecclesiale in vista di scelte concrete che siamo chiamati a fare nel prossimo futuro. raggiungeremo questo obiettivo tenendo conto dei punti di forza e di debolezza delle nostre comunità.
Dobbiamo prepararci spiritualmente, moralmente, personalmente e comunitariamente a fare delle scelte condivise. Non partendo dallo spirito di questo mondo, ma, con libertà di spirito, senza vincoli del passato, mettendoci in ascolto del vangelo di Gesù, il quale ci indica la meta e la risorsa:
Ritrovarci insieme non per rinchiuderci nelle nostre chiese ma per obbedire al suo invito di “andare nel mondo, ad annunciare il suo vangelo”, per ascoltare la sua Parola, perché questa “sola cosa è necessaria”.


6. “NON TEMERE PICCOLO GREGGE”

Nel Natale del 1969, un giovane teologo, Joseph Ratzinger, rispondeva con queste parole a chi gli chiedeva come sarebbe stata la chiesa del futuro:
“Dalla crisi odierna emergerà una Chiesa che avrà perso molto. Diventerà piccola e dovrà ripartire più o meno dagli inizi. Non sarà più in grado di abitare molti degli edifici che aveva costruito nella prosperità. Poiché il numero dei suoi fedeli diminuirà, perderà anche gran parte dei privilegi sociali… Ma dopo la prova di queste divisioni uscirà da una Chiesa interiorizzata e semplificata una grande forza. Gli uomini che vivranno in un mondo totalmente programmato vivranno una solitudine indicibile. Se avranno perduto completamente il senso di Dio, sentiranno tutto l’orrore della loro povertà. Ed essi scopriranno allora la piccola comunità dei credenti come qualcosa di totalmente nuovo: lo scopriranno come una speranza per se stessi, la risposta che avevano sempre cercato in segreto.”

Ci stiamo avvicinando al manifestarsi di quella profezia. Ma non la dobbiamo guardare con paura o dispiacere. Ratzinger profetizzava la nascita di Comunità piccole ma significative. Minoranze efficaci, le definisce la chiesa francese. Il Card. Martini, auspicava la formazione di Comunità alternative. La profezia del vescovo Ratzinger è stata fatta propria anche recentemente da papa Francesco (Malta, 6 aprile ’22). In realtà, il nostro Maestro non ci ha mai promesso folle. Quando si riferiva alla chiesa, ha sempre parlato di piccolo gregge, lievito nella pasta, sale del mondo. Papa Francesco, ci ripete spesso, che è finita la cristianità e lo dice come un dato positivo.
Non dobbiamo subire i cambiamenti, ma li dobbiamo accogliere lasciandoci guidare dal Signore. Siano occasione di Grazia per continuare a seminare la Parola!
I credenti sanno che anche nell’Antico Testamento Dio conta su un piccolo resto e non su tutto il popolo. Ma un piccolo resto non chiuso, come una setta, ma capace di innervare il resto del popolo. Aperto a interagire e a includere.
Non conta quanti siamo, ma se siamo significativi.
Non conta se riusciamo a celebrare la santa messa a tutti i costi nella nostra piccola o grande chiesa vicino a casa, “come abbiamo sempre fatto”, ma se la nostra celebrazione è significativa, bella, che lascia qualcosa di spiritualmente profondo, di umanamente arricchente, capace di influenzare anche la nostra vita quotidiana sul posto di lavoro e nelle nostre relazioni quotidiane.
Mi ha sempre colpito che Gesù, nel vangelo, non chiama tutti attorno a sé, ma li ascolta, li guarisce e poi li manda di nuovo nel mondo da dove sono venuti e lui resta con i suoi 12 e i suoi 72….


7. LA CHIESA SERVE PER DARE LA POSSIBILITÀ DI INCONTRARE GESÙ

Nelle nostre comunità ci sono tre livelli di presenza.
C’è la grande totalità della popolazione che ha ricevuto i sacramenti, ma si è allontanata per un qualche motivo dalla pratica della fede. E questi, qualche volta li intercettiamo. Essi hanno diritto di incontrare attraverso di noi, in quelle poche occasioni, Cristo. È una grande occasione di missione, e dobbiamo solo essere noi stessi. Senza tante parole. Non possiamo e dobbiamo sprecare queste occasioni. I locali delle nostre comunità, le chiese in particolare, siano accoglienti, curati. Coloro che partecipano alle nostre liturgie e ai nostri incontri devono poter vivere una bella esperienza.

E poi ci sono i fedelissimi (con la tentazione del pubblicano protagonista della famosa parabola) e devono avere l’opportunità di incontrare un Cristo vivo. Penso, ad esempio, alla cura che i ministri devono avere nel preparare le celebrazioni. Prepararsi prima leggendo le letture, preparare bene l’altare, il prete non sia lasciato da solo.   
Prima e dopo la messa ci sia qualcuno che accoglie, accompagna, offre del tempo e l’occasione di parlarsi e di consolidare l’amicizia. San Paolo ai Corinti, ai cristiani che consumavano il pasto dimenticandosi dei fratelli, li ammoniva che quella non era la cena del Signore! Credo che direbbe la stessa cosa se, venendo ad una nostra messa, vedesse gente che viene, sta muta, non parla con nessuno, fa la comunione e poi torna a casa. Quella non è la cena del Signore. Quella domenica non è stato a messa, anche se ha “perso” un’ora in chiesa!
E, infine ci sono i contrari o gli indifferenti duri. Metto una buona fascia di giovani, di giovani adulti. Anche a questi, possiamo e dobbiamo, suscitare la sete del Cristo.

Anche da piccole comunità, ma significative e fraterne, non chiuse, accoglienti verso chi viene, può nascere la speranza di una nuova umanità. Altrimenti, moltiplichiamo le celebrazioni, ma giriamo a vuoto.
Il prete sarà colui che rappresenta l’Apostolo, che ci mette in comunione con le altre comunità (la comunità è una sola, e non è la parrocchia, essa è una porzione dell’unica comunità), con l’intero Corpo di Cristo.
Il nostro ritrovarci non è la riunione di un gruppo di amici, ma è l’incontro con l’unico Signore che ci salva. A Betania, Marta stava preparando tutto quello che serve per accogliere Gesù e i suoi amici, ma aveva dimenticato la cosa più importante. Anche noi, non dimentichiamo che una sola è la cosa che veramente conta: ascoltare la Parola del Signore.
Il tempo, le iniziative, gli strumenti, gli edifici, le riunioni, le sagre, tutto è bello ma non sempre edifica se non è vissuto alla luce della sua Parola, deciso secondo la sua volontà. Quello che ascoltiamo in chiesa deve diventare avvenimento nel quotidiano agire della nostra chiesa.


8. CONCLUSIONE

In questi due anni di pandemia abbiamo dovuto, per il bene di ciascuno e dei fratelli, distanziare o rinviare i nostri incontri. Ora che abbiamo superato questo momento, dobbiamo recuperare la verità dei nostri incontri. Gli eventi ci stanno educando a cogliere e vivere l’essenziale. A purificare la nostra vita di fede. Le nostre comunità sono comunità eucaristiche, dove ci trova per consolidare la fraternità, per annunciare che un nuovo mondo è possibile. E la comunità cristiana è missionaria se è attrattiva.
La Chiesa è molto meglio di quello che si pensa e di come viene rappresentata.
Il cammino ecclesiale di questi anni difficili e l’esperienza positiva degli oltre 400 gruppi sinodali lo testimoniano.
Con la guida della sua Parola, la forza dello Spirito e la vicinanza dei fratelli e delle sorelle, sapremo affrontare anche questo nuovo anno pastorale. Buon cammino!