La prima predica di Gesù a Cafarnao ricorda le nostre omelie. La grande responsabilità che ci è affidata di spezzare la parola con la nostra gente. Ci ricorda come i gruppi del vangelo possono diventare il luogo dove prepararci meglio all’omelia. Ci ricorda anche una predica che la tradizione ci dice sia avvenuta proprio qui, 800 anni fa, e che ha lasciato il segno. Mi riferisco alla prima predica di sant’Antonio di Padova, che ricorderemo alla fine di settembre.
Insieme alla presa di Parola di noi che abbiamo ricevuto il ministero dell’Ordine, ci interroghiamo con tutti gli adulti sulla nostra capacità di trasmettere la fede oggi. In questo tempo e in queste circostanze.
Tutti gli ordinati, i consacrati, gli istituiti, gli educatori sono tenuti ogni giorno a consultare il Vangelo, la loro bussola, e a promuovere gruppi di adulti e di giovani aperti alla conoscenza di Gesù e della sua Parola.
Il Vangelo è la nostra missione.
Lo Spirito del Signore è sopra di me,
per questo mi ha unto
e mi ha inviato per annunciare la buona notizia ai poveri.
Ma Gesù e lo Spirito Santo non si fermano alle parole. Questa sera, durante la memoria della cena del Signore, ricorderemo che Gesù lava i piedi ai suoi discepoli. Le parole non bastano, esse diventano gesti e diventano stile di vita concreto.
I gesti liturgici sono autentici se sono accompagnati da scelte di vita verso i poveri, i prigionieri, i malati, gli oppressi…
Il profumo di Cristo, che espande dall’olio che consacreremo fra poco, avvolga ogni nostra azione. A pochi o a tanti anni dalla nostra ordinazione, quel profumo rimane per sempre. E i primi a sentirlo siano i più deboli, i figli preferiti del Padre.
Le nostre eucaristie e celebrazioni trovano la loro verità nel servizio ai poveri. Solo il buon samaritano e chi come lui è degno di celebrare l’eucaristia. Non è casuale che i primi ad avvertire il buon profumo di Cristo e il suono dolce del vangelo siano i poveri.
È anche per questo motivo che quest’anno propongo anche a voi, cari confratelli, di aderire comunitariamente alla raccolta delle offerte versando il nostro personale contributo, durante la messa. È un piccolo segno per esprimere la comunione ecclesiale anche nella carità, come ci ha insegnato san Paolo nella seconda lettera ai Corinzi. Anche in questo modo possiamo attualizzare la Parola del Signore: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».
Non posso terminare questa omelia, che ci fa rivivere dentro una normalità riacquistata a caro prezzo, senza ringraziare tutti voi, cari presbiteri e diaconi, per l’impegno e lo spirito di servizio dimostrati in questi due anni. E per lo slancio mostrato nella ripresa. Condivido la gioia di coloro che mi dicono: quest’anno sono riuscito a fare le benedizioni!
La vostra è stata una presenza discreta, meno pubblicizzata, vissuta nella consapevolezza di farsi prossimo di chi era più solo. Testimoniando la prossimità di Dio a coloro che soffrono. Un grazie anche per l’impegno e la passione che ha visto l’adesione ai gruppi sinodali di quasi la totalità delle parrocchie e delle associazioni della nostra diocesi. È stato un risultato clamoroso! Un grazie particolare alle religiose, ai carcerati, ai giovani e ai ragazzi.
Il 26 aprile, durante una apposita celebrazione, restituiremo la sintesi delle 430 relazioni di altrettanti gruppi sinodali, e faremo qualche considerazione. Grazie all’equipe che ha lavorato e continua a lavorare anche in questi giorni!
La stessa sintesi verrà poi inviata al comitato del Sinodo della chiesa universale e alla CEI per il cammino sinodale. Ma, soprattutto, servirà a noi per il cammino diocesano dei prossimi anni.
Cari confratelli, nuove sfide ci attendono, per la chiesa e per il mondo. Per questo è necessario mettersi in ascolto della parola del Signore insieme nella comunità ecclesiale. Donare Cristo al mondo è la nostra missione. Dire con la Parola e la Testimonianza che Cristo è risorto. Dirlo vivendo la fraternità presbiterale. Pochi o tanti che siamo, quello che conta è che siamo uniti e in comunione. Lievito che fermenta il bene. Comunità che si fa vangelo, buona notizia che grida sui tetti che un altro mondo è possibile. Il Signore ci guidi e ci sollevi.
E voi, figli carissimi, pregate per i vostri sacerdoti e diaconi. Il Signore effonda su di loro l’abbondanza dei suoi doni, perché siano fedeli ministri di Cristo, Sommo Sacerdote, e vi conducano a lui, unica fonte di salvezza.
Preghiamo per loro e per le vocazioni.
Rinnoviamo ora le promesse con gratitudine e riconoscenza per la fiducia che il Signore continua ad avere verso ciascuno di noi. Non sprechiamo la fiducia che ha dimostrato di avere nei nostri confronti. Non lasciamoci rubare il fondamento della nostra speranza che dà senso alla nostra esistenza.
MESSA IN COENA DOMINI
Carissimi fratelli e sorelle, ci ritroviamo insieme per l’ultima cena del Signore Gesù. Una cena vissuta come cena pasquale ebraica. Una semplice cena, quindi.
Eppure è una cena indimenticabile.
Indimenticabile per i discepoli di Gesù.
Se la saranno ricordata per tutta la vita. L’avranno ricordata con emozione, ma anche con tanto senso di colpa. E di preoccupazione. Non dimentichiamo che i discepoli avevano da qualche parte con loro due spade che tireranno fuori nell’orto degli olivi. Tagliando l’orecchio a un malcapitato. L’atmosfera non era delle migliori. Si avvertiva il pericolo.
In quel clima, cenano insieme. Un clima di festa e di paura. Un po’ come il nostro. E il maestro compie due gesti straordinari nella loro ordinarietà. Prende del pane e dice “questo è il mio corpo”; prende un calice con del vino e dice “questo è il mio sangue”, sostituendo così in una sola volta tutti i sacrifici animali che fino ad allora si compivano nel tempio.
E ha concluso: “fate questo in memoria di me”.
Tutti hanno mangiato e tutti hanno bevuto. Tutti hanno vissuto quella comunione.
Non solo, ma Gesù ha anche compiuto un altro gesto semplice e straordinario. Ha preso un asciugatoio, si è chinato, anzi inginocchiato, e ha lavato i piedi ai suoi discepoli. E ha detto a loro: ”Come ho fatto io, fate anche voi”.
Nessuno maestro o filosofo o fondatore di religioni ha mai lavato i piedi ai suoi discepoli, né prima né dopo!
Anche quel gesto, anche quelle parole, sembra non abbiano convertito nessuno.
Dicevo, i discepoli avranno ricordato quella cena, quell’ultima cena, con tanta emozione ma anche con tanto senso di colpa: tutti, poco dopo infatti sono scappati. Pietro, Giuda. Tranne Giovanni, tutti i discepoli (maschi) scapperanno. Lasciano Gesù da solo.
Scapperanno tutti, con i piedi puliti, ma scapperanno.
Le uniche a non scappare saranno le donne.
Quella “comunione”, sembra non sia servita a niente.
Cari fratelli e sorelle, quell’ultima cena è la nostra prima messa. Anzi, le nostre messe, sono memoriale di quella.
E non meravigliamoci, se alle messe alle quali partecipiamo sembra non cambi niente. Sembra che esse non ci smuovano. Sembra non ci convertano. In ogni caso è una semina, prima o poi produrrà i suoi frutti. La morte, il male, la sofferenza non saranno l’ultima parola. L’ultima parola l’avrà la vita. La vita di Cristo risorto.
Come accade anche in questi giorni. La guerra che sta avvenendo vede da una parte e dall’altra cristiani.
È una doppia tragedia.
Gesù viene ancora una volta tradito dai suoi.
Gesù viene smentito da noi, dalle nostre azioni, dalle nostre parole. Eppure, ci professiamo cristiani.
Magari non praticanti, si dice, ma cristiani.
E allora? Serve a qualcosa partecipare all’eucaristia? Serve a qualcosa lasciarci lavare i piedi, lasciarci servire dal Signore ancora oggi?
Sì, serve, perché alla fine i discepoli, anche se non tutti (non Giuda, per esempio) capiranno e si convertiranno.
Quel seme gettato crescerà e li farà tornare al cenacolo, ad attendere l’arrivo di Cristo risorto.
E allora sì avranno il coraggio, con il dono dello Spirito, di ripartire.
E di imitare Gesù. Il coraggio dimettersi in ginocchio e di fare come Lui.
Sì, serve, perché ancora e sempre il Signore continua a servirci, a lavarci i piedi.
E lo fa attraverso i suoi discepoli.
Come lo fanno le mamme e i papà, quando amano i loro figli. Come lo fanno gli educatori, quando custodiscono i loro ragazzi. Come i volontari, quando si mettono a servizio di chi bisogno. Come chi lavora o amministra, quando compie con amore e professionalità il proprio dovere.
Gesù continua ancora a lavarci i piedi. Materialmente lo faccio io questa sera. Ma è Gesù che continua a mettersi a nostro servizio. È Lui che lo fa. E ci chiede di fare come Lui. Prima o poi. Forse non subito.
Non vale e non serve neanche la nostra messa, se non ci mettiamo in ginocchio e non serviamo con amore.
Non è vera l’Eucaristia che non ci porta ad inginocchiarci di fronte al fratello, a chinarci per lavargli i piedi, per compiere cioè un servizio umile, ma prezioso.
E anche l’amore verso il fratello ha bisogno di ritornare da Gesù, per ringraziarlo di questo dono. Per riconoscere che la vera sorgente del mio e del nostro amore è Lui e solo Lui.
La preghiera e la fraternità sono gemelle, nell’eucaristia vanno insieme. Pane e vino; grembiule e acqua. Perdono e fragilità.
Hanno bisogno l’una dell’altra.